Approvata la strategia 30×30, ma c’è di più! La comunità scientifica SCB Italy commenta i nuovi obiettivi del Global Biodiversity Framework approvati alla COP15.

La quindicesima Conferenza delle Parti (COP15) della Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite ha appena adottato il “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework” (GBF), che stabilisce 4 obiettivi generali e 23 obiettivi specifici da raggiungere entro il 2030 per fermare la perdita di biodiversità. Questi obiettivi raccolgono l’eredità degli “Aichi Targets” stabiliti per il decennio 2010-2020, purtroppo largamente disattesi secondo la valutazione IPBES, e li estendono per molti aspetti. Questo attesissimo accordo arriva con due anni di ritardo a causa della pandemia, in un momento in cui la conservazione della biodiversità sta lottando contro il tempo per ridurre tassi di estinzione, sempre più vicini a quelli delle estinzioni di massa. Ma possiamo davvero definirla una vittoria per la biodiversità?
Il GBF conferma il tanto discusso obiettivo di espansione delle aree protette (ed altre efficaci misure di conservazione basate sul territorio) fino a coprire il 30% delle terre emerse e il 30% degli oceani entro il 2030: il cosiddetto “30 by 30”. Questo obiettivo, tra i pochi quantitativi, di fatto raddoppia quello stabilito dai precedenti Aichi Targets in ambiente terrestre e triplica quello precedentemente stabilito per gli oceani, anche se è scomparso il vincolo di protezione integrale per almeno il 10% delle aree (originariamente discusso e importante in aree con specie ed ecosistemi particolarmente sensibili). L’effettivo beneficio per la biodiversità apportato dal raggiungimento dell’obiettivo però non è scontato: esso dipenderà, da una parte, dalla volontà e dalla capacità delle nazioni di identificare aree realmente prioritarie per la conservazione della biodiversità e, dall’altra, dalle risorse che saranno effettivamente messe a disposizione per la loro gestione. Due elementi, questi ultimi, che sono stati sistematicamente disattesi in passato, riducendo l’efficacia della protezione. Il supporto scientifico alle decisioni sarà fondamentale per ottenere da questo obiettivo il miglior risultato possibile per la biodiversità.
Tra gli obiettivi generali si parla della riduzione dei tassi di estinzione “di dieci volte” rispetto a quelli attuali. Questo obiettivo è stato finalmente formalizzato dopo anni di dibattito, ma non può essere certo considerato un punto d’arrivo nel lungo termine, dato che i tassi attuali di estinzione sono tra le 100 e le 1,000 volte più alti di quelli registrati nel record fossile in condizioni normali.
Ad accelerare i tassi di estinzione contribuiscono le specie aliene invasive, la cui introduzione continua a scala globale. Il GBF stabilisce un impegno a prevenire ulteriori introduzioni di specie aliene cosiddette “prioritarie”, e ridurre i tassi di introduzione di tutte le altre specie aliene invasive (note o potenziali) del 50% entro il 2030. Inoltre, si raccomanda l’eradicazione ed il controllo di queste specie in aree ad alta priorità conservazionistica. Questo obiettivo manca però di strategie di attuazione chiare, quali la redazione di liste di specie potenzialmente invasive di cui andrebbero vietati commercio e detenzione. Anche qui viene rimandata la responsabilità (ed efficacia) dell’attuazione alle decisioni che ogni paese firmatario prenderà.
Per la prima volta il GBF riconosce il ruolo fondamentale che le aree con ecosistemi integri giocano nel ridurre i tassi di estinzione e formalizza l’impegno a portare “vicino allo zero” la perdita di aree ad alta importanza per la biodiversità, inclusi gli ecosistemi ad “alta integrità ecologica”. Questo obiettivo, quindi, formalizza, per la prima volta nella Convenzione, l’importanza di prevenire la perdita di biodiversità e non solo intervenire a posteriori per ridurla.
Tra gli ecosistemi ad alta integrità, sono di fondamentale importanza le foreste mature e vetuste che svolgono un ruolo chiave, non solo per l’elevata biodiversità che ospitano, ma anche per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Purtroppo, i processi di tutela integrale vengono spesso rallentati o ostacolati da diversi portatori di interesse nei tavoli tecnico-normativi. Ad esempio, in Europa la mancata attuazione dei principi di protezione previsti nella strategia per la biodiversità non ha ancora impedito il taglio delle foreste vetuste.
Il GBF stabilisce l’obiettivo (quantitativo anch’esso) di ripristinare almeno il 30% delle aree con ecosistemi degradati. Questo sarà importante soprattutto in zone che storicamente hanno subito un impatto cronico, di lunga durata e intensità, come molte aree del continente europeo e in ambiente marino dove il tema del restauro rappresenta una sfida essenziale per arrestare la crescente estensione di ecosistemi degradati. Restano però indefiniti la “soglia di ripristino” minima ai fini del raggiungimento di questo obiettivo e i criteri per definire obiettivi di ripristino per le singole aree. L’efficacia di questo obiettivo sarà dunque inevitabilmente subordinata all‘interpretazione dei singoli Stati firmatari.
Anche i contributi della natura al benessere delle persone entrano per la prima volta nella Convenzione. Infatti, viene sancita l’importanza della conservazione della biodiversità non solo nelle aree protette (marine e terrestri), ma anche nelle zone soggette alla pesca, allo sfruttamento agricolo e forestale. La persistenza di ecosistemi funzionanti può migliorare la resa di queste attività, mentre lo sfruttamento incompatibile con la loro conservazione ha effetti negativi per queste attività e per l’umanità in generale.
Il GBF riconosce formalmente il legame tra sovrasfruttamento delle specie selvatiche e il rischio di spillover di patogeni a potenziale zoonotico. La recente pandemia di COVID, che si aggiunge a una serie recenti di epidemie zoonotiche, ci ha insegnato che non è possibile parlare di prevenzioni dei rischi zoonotici senza controllare il traffico di specie selvatiche. Anche in questo caso, però, non è stato formulato un obiettivo quantitativo.
Il GBF riconosce la necessità di rimuovere i sussidi dannosi per la biodiversità. Il fallimento di questo obiettivo in passato (era presente anche tra gli Aichi Targets) è dipeso, tra le altre cose, da una scarsa conoscenza tra i decisori politici di quali e quanti di questi incentivi esistano. È necessario dunque identificare in modo scientifico l’elenco dei sussidi dannosi, proponendo allo stesso tempo delle soluzioni alternative basate sulla natura e capaci di generare reddito sul territorio. Parallelamente, i contributi finanziari per supportare l’implementazione delle strategie nazionali per la biodiversità, inclusi i finanziamenti verso paesi in via di sviluppo, vengono valutati in 200 miliardi di dollari l’anno. Questa cifra rappresenta un importante incremento rispetto al passato, ma rimane ben al di sotto del ritorno economico che la conservazione della biodiversità fornisce a livello globale nel preservare i contributi della natura all’umanità.
Infine, con il GBF si riconosce, finalmente, l’importanza di tutelare i diritti delle popolazioni indigene per la conservazione della biodiversità. Questo è un elemento trasversale del GBF e particolarmente importante in associazione con l’obiettivo 30 by 30, in cui si chiarisce che l’espansione delle aree protette deve tenere conto dei diritti territoriali delle popolazioni indigene. Con questo traguardo, il cui raggiungimento ha visto protagonisti i rappresentanti delle popolazioni di alcune tra le aree di maggiore importanza per la conservazione, il GBF compie un passo verso la riconciliazione tra gli obiettivi ambientali e gli interessi (e il benessere) delle comunità locali.
In ultima analisi, la comunità scientifica di SCB Italy esprime soddisfazione per quella che a tutti gli effetti è la strategia per la biodiversità più ambiziosa mai ratificata fino ad ora. Al tempo stesso, come per gli Aichi Targets, molti obiettivi sono stati formulati in modo vago e senza indicazioni quantitative, delegando ai singoli paesi la responsabilità di ottenere risultati effettivi. Come è accaduto in passato, il vero impatto della strategia si misurerà dunque in fase di implementazione delle politiche nazionali: la pressione da parte dell’opinione pubblica e il supporto della comunità scientifica saranno fondamentali. Due anni sono già trascorsi nell’inazione a causa della pandemia, ne restano otto e gli obiettivi da raggiungere sono tanti e ambiziosi.