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Il 27 settembre 2023, la Corte Europea dei diritti dell’uomo si è riunita per l’udienza del più grande caso di contenzioso climatico in Europa. Questo caso, il primo del suo genere in Europa, potrebbe cambiare il modo in cui i governi percepiscono il loro impegno nella mitigazione del cambiamento climatico e il loro obbligo di mantenere condizioni climatiche idonee per le persone e l’ambiente.
Il 2 settembre 2020, sei giovani portoghesi hanno presentato un reclamo alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro 33 paesi. Il caso prende il nome dai principali contestatori “Duarte Agostinho e altri contro Portogallo e altri 32 Stati”. Secondo i querelanti del caso Duarte Agostinho, i paesi europei hanno violato i diritti umani, non adottando misure adeguate a ridurre le emissioni di gas serra e contribuendo così a livelli inaccettabili al cambiamento climatico. La denuncia si basa sulla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che protegge il diritto alla vita, il diritto alla privacy e il diritto a non subire discriminazioni. I querelanti sostengono che il loro diritto alla vita è minacciato dagli eventi estremi legati al cambiamento climatico, come gli incendi boschivi e le inondazioni. Il loro diritto alla privacy, che include il benessere fisico e mentale, è minacciato dalle ondate di calore che costringono a trascorrere più tempo al chiuso. In quanto giovani, inoltre, sono particolarmente discriminati poiché sono destinati a subire gli effetti peggiori del cambiamento climatico che, secondo le proiezioni, devono ancora manifestarsi.
I paesi europei stanno fallendo nel mantenere i loro obblighi nei confronti dei diritti umani perché non riescono a raggiungere riduzioni delle emissioni che limitino l’aumento della temperatura a 1,5°C, come stabilito con l’Accordo di Parigi nel 2015. Infatti, agli impegni internazionali non sono seguite misure concrete per una riduzione significativa delle emissioni dei gas serra e questo potrebbe portare nei prossimi anni a un potenziale aumento della temperatura globale fino a 2,6°C e fino ai 4 °C nei mari. Dopo 3 anni di scambio di documenti e report, da parte dei querelanti e dei 33 paesi coinvolti, il 27 settembre 2023 la prima udienza del caso è arrivata alla “Grand Chamber”, l’organo massimo della Corte Europea che si occupa di casi particolarmente complessi. La Grand Chamber deve decidere se il caso è ammissibile, cioè se può essere preso in considerazione dalla Corte, e se ha merito, cioè se c’è stata una reale violazione dei diritti umani. Ma cosa significa tutto ciò per i cittadini europei? E per gli scienziati?
Gran parte della controversia si basa ancora su quale sia la responsabilità specifica di ciascun paese nell’azione climatica globale. I paesi sostengono che non esiste ancora un metodo universalmente accettato per stabilire cosa si debba fare, visto che le esigenze cambiano da Stato a Stato e manca un consenso sul modello richiesto per la contabilizzazione dell’equità climatica. Inoltre, è ancora poco chiaro quanto peso la Corte attribuirà alle informazioni scientifiche sul cambiamento climatico. Infatti, in questo e in altri casi simili si è fatto ampio riferimento ai rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), ma questi dati devono essere bilanciati con gli aspetti economici e di sovranità degli Stati. Per essere efficace, la scienza climatica ed ambientale deve imparare rapidamente a comunicare le evidenze disponibili, e la loro incertezza, in modo che possa essere utilizzata in un tribunale.
Nei mesi successivi alla presentazione del caso Duarte Agostinho, sono stati presentati molti casi simili alle Corti di Giustizia, tra cui due casi dall’Italia (“Uricchio c. Italia e altri 31 Stati” e “De Conto c. Italia e altri 32 Stati”). Qualunque sia il verdetto sull’ammissibilità del caso Duarte Agostinho, noi come SCB Italy crediamo che questo e gli altri casi di contenzioso climatico potrebbero cambiare il corso delle politiche ambientali e climatiche internazionali. In particolar modo, speriamo in un ruolo sempre più centrale della scienza. Proteggere il diritto a un clima e un ambiente sani e rendere i paesi responsabili per la tutela di questi diritti potrebbe contribuire in modo significativo al raggiungimento degli accordi ambientali multilaterali. Tali accordi rischiano di rimanere carta straccia a meno che ci siano molteplici attori che ne monitorano il rispetto: dai responsabili politici, agli scienziati, ai cittadini.
Gruppi informati di cittadini, e associazioni ambientaliste, disposti a collaborare con scienziati e avvocati ambientali, potrebbero essere in grado di puntare i riflettori sulla responsabilità dei paesi nel mantenere le loro promesse ambientali, anche attraverso l’uso di strumenti legali. I cittadini possono svolgere un ruolo incredibilmente importante nella battaglia globale per un ambiente sano, e l’Europa può essere il faro di una giustizia ambientale informata dalla scienza e guidata dai cittadini.
Il comitato SCB Italia ringrazia la Dott.ssa Corina Heri per il suo aiuto nella preparazione di questo comunicato. La Dott.ssa Heri è una ricercatrice e avvocatessa presso l’Università di Zurigo, è esperta di diritti umani e cambiamenti climatici.